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Thursday, April 16, 2015

Rennell: alla scoperta della perla delle Isole Salomone

Non sono pochi i motivi per considerare l'Isola di Rennell come una delle perle più autentiche e meritevoli di una visita -e di protezione- nell'Oceania e nel mondo.
La parte orientale dell'isola, che contiene il più grande lago dell'Oceania insulare, il lago Te Gano, è diventata Patrimonio dell'umanità UNESCO nel 1998 ed è uno dei luoghi più incontaminati in assoluto dell'Oceano Pacifico.

Il Lago Te Gano, Isola di Rennell
Rennell, situata a sud dell'arcipelago delle Isole Salomone, 2000 km a nord-est dell'Australia, è il secondo atollo corallino rialzato del mondo per superficie.

L'isola è stata sollevata di recente (parliamo ovviamente di tempi geologici) dai movimenti tettonici che caratterizzano le instabili isole del Pacifico, generate nel tempo proprio da eruzioni e ripetuti terremoti, e dopo il sollevamento sono lentamente cresciute, nelle acque basse vicine alla nuova isola, le formazioni coralline.

Oggi, le ripide scogliere che delimitano in alcuni punti il lago Te Nggano sono proprio i rimasugli di quei coralli originari, "architetti" e "carpentieri" di tutte le isole come questa, mentre nelle acque basse che circondano Rennell vivono nuove barriere coralline che testimoniano l'instancabile ciclo di nascita e morte che domina la natura e ci dona spettacoli come questa isola.

Il lago, principale attrazione di Rennell, è lungo 29 km e largo 10, e occupa il 17 % della superificie totale dell'isola. Le rocce che segnano lo stretto confine tra il lago e il mare permettono il passaggio di acqua e lo rendono leggermente salato.
Le sue coste ospitano 4 villaggi che considerano il lago una proprietà comune.

Te Nggano al tramonto
Nel complesso, gli abitanti dell'isola, che hanno origine Polinesiana pur vivendo in un arcipelago Melanesiano, sono molti pochi (circa 2200), a causa della poca acqua dolce e dei pochi suoli coltivabili, e questo favorisce sicuramente la conservazione dello splendido ambiente di Rennell.

Granchio del cocco,
capace di aprire le noci
di cocco con le chele
Le foreste dell'isola ospitano infatti 43 specie di uccelli, di cui 4 endemiche e 9 sottospecie endemiche, 11 spece di pipistrelli, 13 di rettili, 731 insetti più moltissime piante, di cui 230 utilizzate dai locali per i più svariati scopi medicinali. Si tratta di una grande ricchezza per un'isola con un suolo così povero e la cui storia è relativamente recente.

Nonostante sia priva di risorse al di là di quelle naturalistiche, Rennell, come moltissime altre località del Pacifico, è stata coinvolta nella Seconda Guerra Mondiale.
Nel gennaio del 1943, gli Stati Uniti attaccarono qui il Giappone, che riuscì a difendersi dall'assalto degli americani, i quali nel giro di un anno avrebbero comunque cacciato i nipponici dall'intero arcipelago delle Salomone.

Gli abitanti del luogo ricordano ancora questi avvenimenti. E a monito anche per le future generazioni rimangono nel fondo del lago di Te Nggano 9 aerei, affondati qui durante gli scontri più di settant'anni fa.

Alba su un'isoletta nel cuore di Te Nggano

Thursday, March 5, 2015

Canoe, coraggio e costellazioni: l'arte della navigazione nel Pacifico

Abbandonare la terraferma e affrontare il mare è uno dei gesti più frequenti che vengano compiuti ogni giorno sulla Terra. Centinaia di milioni di pescatori e navigatori lo fanno oggi, e altrettanti prima di loro l'hanno fatto dalla notte dei tempi: eppure, dietro un gesto così comune nelle società umane, si nascondono quel coraggio di affrontare l'ignoto e quello stesso spirito di esplorazione che hanno garantito al genere umano il suo progresso e le sue scoperte negli ultimi milioni di anni.

E di questo coraggio, i popoli del Pacifico sono tra i più grandi ambasciatori: dotati solo di conoscenze tramandate oralmente e canoe artigianali, gli antichi Melanesiani, Micronesiani e Polinesiani hanno raggiunto quasi tutte le 30 000 isole del Pacifico, superando tempeste e sterminati chilometri di mare, raggiungendo forse l'America del Sud e l'Antartide (una leggenda Maori racconta che un certo Ui Te Rangiora, attorno al 700 d.C., guidò una canoa da guerra a Sud fino a un luogo dove il mare era ghiacciato) e scrivendo uno dei capitoli più incredibili nella storia dell'umanità.

Canoa Hawaiiana originale. Disegno di Herb Kawainui Kane
L'arte dell'andar per mare
I veri navigatori erano persone di grande influenza nelle antiche società del Sud Pacifico. Si riteneva che essi potessero controllare il mare e il tempo metereologico, che potessero curare gli uomini e che fossero in diretto contatto con gli dei. Navigare non era solo svago o necessità, era un'arte.
E come tutte le arti, non era casuale: i navigatori conoscevano bene le onde, i colori del cielo, i movimenti dei banchi di nuvole e ancor di più le costellazioni, e per orientarsi sfruttavano anche le migrazioni degli uccelli. Si è ipotizzato ad esempio che tenessero con loro durante i viaggi le Fregate, che li avrebbero aiutati a individuare la terra, o che seguissero le migrazioni del Piviere dorato del Pacifico per raggiungere le Hawaii da Tahiti, o le migrazioni di un cuculo, l'Urodynamis Taitensis, per raggiungere la Nuova Zelanda dalle Isole Cook.

Canoa con bilanciere
Canoe ordinarie per viaggiatori straordinari
Le canoe, unico mezzo materiale delle esplorazioni, sono uno dei capisaldi della cultura dei popoli del Pacifico. O forse, ne sono addirittura l'origine: chi può dire se la Polinesia che conosciamo oggi sarebbe nata lo stesso, se i navigatori dell'Asia non si fossero avventurati nell'oceano con le loro canoe?

La tipica canoa dei popoli dell'Oceania, nota come Va'a in Tahitiano e Samoano, Wa'a in Hawaiiano e Vaka nella lingua delle Isole Cook (il termine waka da cui sono discesi questi è di origine malese) è dotata di un bilanciere, un componente esterno allo scafo della barca che è collegato ad essa per aumentarne la stabilità. Anche questo, come il termine con cui la canoa è indicata, ha origine negli arcipelaghi dell'Indonesia, dove i popoli Austronesiani, da cui sono discesi tra gli altri Malesi, Aborigeni e Polinesiani, furono i primi a farne uso.

Tartaruga scolpita sulla canoa di Anaweka
Sono poche le testimonianze circa la costruzione originale delle canoe. Recentemente in Nuova Zelanda è stata rinvenuta la canoa denominata Anaweka, che si stima avere 3400 anni: per il resto, le moderne imbarcazioni in Oceania sono basate sugli appunti e sui disegni dei primi europei che visitarono l'Oceania, ma che giunsero quando la vena di coraggio e di esplorazione dei navigatori delle isole era in via di esaurimento.

Oggi le conoscenze tradizionali sulla navigazione, nonostante l'influenza del mondo moderno e la perdita di molte tradizioni, sono ancora vive, specialmente negli atolli più isolati o nelle nazioni che intraprendono programmi per salvare il proprio patrimonio culturale.
Negli ultimi decenni, la sapienza di navigatori leggendari come il Micronesiano Mai Piailug ha contribuito a salvare molte delle tradizionali tecniche di viaggio, e nuove imbarcazioni basate sulle canoe originali, come la Hokule'a e la Alingano Maisu, che ha attraversato senza alcuna strumentazione il Pacifico nel 2007, hanno mantenuto viva l'arte della navigazione, emblema delle culture del Pacifico.

Thursday, February 26, 2015

Come salvare i paradisi del mondo dai cambiamenti climatici

Come si possono salvare le isole dell'Oceania dai cambiamenti climatici?
C'è troppo fatalismo e disfattismo per quanto riguarda le condizioni che avrà l'ambiente del nostro pianeta nel futuro, specialmente quando si parla delle isole del Sud Pacifico. Questi posti appaiono troppo poveri e piccoli per contrastare i mutamenti globali del clima e le conseguenze di essi, come l'innalzamento del livello del mare che minaccia di sommergerli in pochi decenni.

Dopo aver spiegato gli effetti dei mutamenti e i pericoli che affrontano le isole dell'Oceania nel primo articolo, è quindi necessario spiegare quali possono essere le possibili soluzioni a questa situazione: come si può ancora mitigare la crisi ambientale e salvare la fauna, la flora e le culture dei paradisi tropicali, affetti dalla siccità, dalla morte dei loro coralli e da un livello del mare sempre più alto?

Seawall
Bambini giocano vicino a una seawall, Isole Kiribati

1) Barriere contro il mare
Anche dette seawalls in inglese, servono per prevenire le inondazioni a cui i piccoli atolli sono soggetti durante l'alta marea. Numerosissime barriere di pietre sono state costruite, tra gli altri posti, a Tarawa, atollo-capitale delle Isole Kiribati.
Le seawalls, per quanto solide e ben concepite, non possono comunque essere sufficienti a opporsi alle alte maree, specialmente se esse vengono rafforzate dalle tempeste tropicali. Non sono inoltre utili a salvare le barriere coralline, il pesce che serve alla gente per nutrirsi, nè per garantire acqua potabile.

Saturday, February 14, 2015

I paradisi del Pacifico in pericolo

Ogni mattina, noi ci svegliamo e vediamo che l'Oceano è lì, a circondare le nostre isole.
Ma ora l'oceano, influenzato dai cambiamenti climatici, è sempre più vicino. Se non faremo nulla, molte delle nostre isole rischiano di venire sommerse dall'innalzamento del livello del mare. 

(350pacific, organizzazzione giovanile che unisce le isole del Pacifico nella lotta contro la scomparsa delle loro nazioni)

Canoa lungo la riva della laguna dell'atollo di Funafuti, Isole Tuvalu

I cambiamenti climatici ci sono? E se sì, che danni provocano alle isole dell'Oceania?
Il mondo scientifico, anche se non all'unanimità, sostiene che il clima della Terra stia gradualmente mutando.
Bisogna precisare che i cambiamenti climatici sono sempre avvenuti nel corso della storia terrestre, e che in certi frangenti il nostro pianeta era anche più caldo di quanto non lo sia ora, ma è chiaro che mai i mutamenti sono avvenuti ai ritmi registrati nell'ultimo secolo -e men che meno è normale che il tasso di estinzione delle specie animali sia tra 100 e 1000 volte superiore alla media degli altri periodi nella storia terrestre. Esiste dunque un contributo delle attività umane ai cambiamenti in atto.

Per l'Oceania, i cambiamenti climatici non sono solo una variabile che rende la vita più difficile alle persone, come per esempio potrebbe essere in Italia, dove ci si trova di fronte a più valanghe, frane o estati umide e piovose come quella del 2014: in Oceania, anche una piccola variazione del clima può essere questione di vita o di morte.
Nel caso delle isole del Pacifico, i cambiamenti climatici si concretizzano in quattro effetti: aumento del livello del mare, maggior violenza dei tifoni, acidificazione dell'acqua e drastica riduzione -o aumento- delle precipitazioni indispensabili per la vita delle isole.
La combinazione di questi fattori, che ha già peggiorato le condizioni della vita, può rendere le isole inabitabili nei prossimi 40-50 anni, costringendo all'esodo di intere popolazioni dalle proprie nazioni, allo sfratto forzato dalle proprie case di centinaia di migliaia di famiglie.

Fuggire e trasferirsi altrove può essere una soluzione solo provvisoria, oltre che sbagliata: se il problema del rapporto uomo-ambiente non si cura alla radice, quello che ora succede ora alle poco note ed insignificanti Kiribati, Tokelau, Tuvalu e a tutte le altre isole del Pacifico, succederà tra pochi anni in posti come Miami, New Orleans, Guangzhou, Hong Kong, Venezia ed altre città dove l'impatto raggiungerà milioni di persone e richiederà miliardi di dollari, euro, sterline, rubli, yen o renminbi spesi per riparare la negligenza e la poca lungimiranza dell'umanità.

L'atollo di Tarawa, Isole Kiribati: in celeste la laguna, in blu l'Oceano Pacifico


Gli effetti del surriscaldamento nel quotidiano

Abbiamo notato una maggior frequenza nei cicloni tropicali, siccità più gravi e allarmanti altezze del livello del mare durante le maree primaverili.

(Hilia Vavae, Servizio metereologico delle Isole Tuvalu)

I paradisi dell'Oceano Pacifico e i cambiamenti climatici - Introduzione

Per chi vive in una piccola isola del Pacifico, l'oceano è tutto.

L'oceano è il padre degli antenati di ognuno: non c'è isola dell'Oceania le cui leggende non raccontino di antenati provenienti da luoghi misteriosi al di là dell'orizzonte, che solcarono il mare per decine di giorni e notti a bordo delle loro canoe, prima di arrivare a terra, dove avrebbero fondato il loro popolo.

L'oceano è la fonte di vita: dalla salute di questa distesa blu dipende ogni singolo pesce, ogni stormo di uccelli e ogni albero o coltivazione che cresce sulle isole. E dunque, qualunque uomo che cresca negli sperduti arcipelaghi del Pacifico, il cui orizzonte è occupato verso ogni punto cardinale dallo sterminato oceano, dipende da questa distesa blu.

L'oceano, però, può anche diventare fonte di morte, se il fragile equilibrio che lega la natura all'unico animale in grado di mutarla, l'uomo, viene rotto.
Ed in quel caso, la vita in un paradiso tropicale non è più fatta di delicate brezze, tramonti sul mare e barriere coralline affollate di pesci, squali e coralli. Quando l'equilibrio viene rotto, il mare incomincia a divorare la terra, la brezza diventa sempre più spesso tempesta tropicale, le barriere coralline si svuotano e si sbiancano e i tramonti diventano il simbolo della fine di una cultura.
Questo succede quando i cambiamenti climatici impattano i luoghi più indifesi della terra. E sta succedendo ora.

In due articoli, Rive d'Oceania presenterà gli effetti dei cambiamenti climatici nelle isole, i danni che stanno provocando all'ambiente e alla gente di questi luoghi unici, le opinioni degli scettici e, per non abbandonarsi al consono disfattismo e fatalismo, i possibili rimedi a questa situazione, le speranze per salvare la vita delle isole del Pacifico e di tutti i luoghi del mondo che è nostro dovere salvare, e non semplicemente lasciare come un ricordo nei libri di storia dei nostri figli.

Sunset Tarawa
Tramonto a Tarawa, Arcipelago delle Gilbert, Isole Kiribati
Link al primo articolo 
I paradisi del Pacifico in pericolo

Link al secondo articolo
I rimedi: ecco come salvare i paradisi che non meritano di scomparire 

Friday, December 5, 2014

Le 7 meraviglie dell'Oceania

Quali sono le 7 meraviglie dell'Oceania?
Sono state nominate 7 meraviglie del mondo antico, 7 meraviglie del mondo moderno, 7 meraviglie dei mari, del mondo naturale e perfino 7 meraviglie del Sistema Solare, ma ancora nessun sito o organizzazione ha mai pensato di nominare le 7 meraviglie del Pacifico del Sud.

In questo portale ho deciso di pubblicare quella che è la mia personale lista di 7 meraviglie dell'Oceania, e ad ognuna di esse sarà dedicato un articolo tra questo mese e il nuovo anno.
In attesa di selezionare le meraviglie natrualistiche, iniziamo con le meraviglie costruite dai popoli che abitano gli sperduti arcipelaghi del Pacifico. Pur consapevole che nessuna di loro avrà l'imponenza del Cristo Redentore di Rio o la magnificenza del Colosseo, ritengo che anche le meraviglie l'Oceania abbiano diritto ad un loro spazio nel mare del web.

1) I Moai dell'Isola di Pasqua: le misteriose statue, alte fino a 20 metri, disseminate in una solitaria isola del Pacifico sud-orientale.

Moai

2) Le rovine di Nan Madol a Pohnpei, Stati Federati di Micronesia: La "Venezia del Pacifico", una città abbandonata un tempo all'avanguardia, temuta e oggi, secondo gli abitanti di Pohnpei, infestata.

3) Il tempio della religione Bahai a Upolu, Samoa: Un tempio immerso nella natura di Upolu per i seguaci di una piccola religione dell'uguaglianza fondata a metà '800 e ora diffusa in tutti i continenti.

Tempio Bahai
Clicca QUI per saperne di più

4) I siti archeologici delle Isole Marchesi, Polinesia Francese: Templi, bassorilievi e imponenti statue di pietra: addentratevi nelle foreste delle selvagge Isole Marchesi, in Polinesia, e non rimarrete delusi.

5) La città perduta di Lelu, Isola di Kosrae, Stati Federati di Micronesia: Un altro sito archeologico della Micronesia, un'altra misteriosa città abbandonata, con mura imponenti e formazioni piramidali per ospitare le salme dei nobili, esattamente come nell'Antico Egitto.

6) Le Rai o Stone Money di Yap, Stati Federati di Micronesia: Enormi pietre circolari utilizzate dalle famiglie e dai villaggi dell'Isola di Yap per simboleggiare il loro potere. Sono le monete più grandi mai concepite.

Yap Stone Money

7) La flotta giapponese affondata nella laguna di Chuuk, Stati Federati di Micronesia: Ancora dalla Micronesia un'altra meraviglia dell'Oceania, la flotta perduta dell'Impero Nipponico, affondata durante la seconda guerra mondiale, che ora domina il paesaggio sottomarino dell'Isola di Chuuk con le sue navi, le sue mitragliatrici e anche i resti degli ultimi giapponesi rimasti a difendere questo baluardo nel mezzo dell'oceano.

Tuesday, December 2, 2014

Pillole d'Oceania, episodio 4: Cos'è la Kava?

Cos'è la Kava?
Oggi è finalmente arrivato il momento di dedicare un po' di righe ad una delle bevande più antiche, popolari e diffuse dell'Oceania.

Kava
L'aspetto della Kava
La Kava, nome di origine tongano, è chiamata a Samoa ava, awa alle Hawaii, sakau a Pohnpei, yaqona in alcune zone delle Fiji, più molte altre varianti, come il waild koniak, il "Cognac dei Selvaggi" con cui essa è chiamata a Madang, Papua Nuova Guinea: di base, stiamo sempre parlando di una bevanda ricavata dalle radici della pianta Pyper Methysticum, di colore marroncino chiaro, densa, aromatica con retrogusto amaro e con proprietà afrodisiache che vanno dal rilassamento a proprietà addirittura ipnotiche.

Sebbene sia consumata nella maggior parte delle isole dell'Oceania, essa è popolare in particolar modo a Vanuatu, dove si è originata nella sua forma attuale, e a Fiji, Pohnpei (Stati Federati di Micronesia), Tonga, Samoa, Hawaii e Polinesia Francese. Se si dovesse trovare una bevanda nazionale per i paesi del Pacifico del Sud, la Kava, che ne è il simbolo culturale, sarebbe sicuramente la prescelta.

La Kava può essere preparata masticando le radici della pianta, sputandole e trattandole su un mortaio di legno o di pietra corallina (questo era il metodo più diffuso, ovviamente bandito dai missionari), ma anche lavorando direttamente le radici sul mortaio, schiacciandole e frammentandole in pezzi via via più piccoli, e poi aggiungendo comunque l'acqua per diluire la bevanda.
Il primo metodo, ad esempio, è diffuso nell'isola di Tanna, a Vanuatu, come documentato da Paul Theroux, scrittore di viaggi che visitò l'isola e che riportò l'episodio degli indigeni e della preparazione della Kava nel suo libro "The Happy Isles of Oceania".


Kava preparazione
Cerimonia di preparazione del Kava, Polinesia
Le conseguenze dell'utilizzo intensivo di Kava non sono ancora stabilite con certezza: sebbene sia consigliato come rimedio per l'ansia viste le sue capacità sedative, la Kava è spesso considerata una vera e propria droga, tanto da essere vietata in diversi paesi (in Europa, ad esempio, la Polonia la considera illegale). Si ritiene che la bevanda più diffusa del Pacifico aumenti il rischio di insufficienza renale in chi dipende da essa, e soprattutto provochi, come d'altronde tutti gli alcolici, danni permanenti al fegato in caso di prolungato utilizzo.

Ciononostante, nel Pacifico la Kava mantiene un forte ruolo sociale: oltre al fatto che la sua preparazione richiede una cerimonia antica e curata nei minimi dettagli, la sua importanza è attestata dal suo utilizzo per dare il benvenuto agli ospiti, per essere servita alle feste locali, per favorire l'incontro fra due famiglie che devono rappacificarsi per qualche motivo ed ovviamente, come tutte le bevande inebrianti, anche la Kava è un buon motivo per stare in compagnia.

Friday, November 28, 2014

Intervista a Lola e Ivana: basta poco, anche per girare il mondo

Era stato tutto improvvisato e non sarebbe dovuto durare più di sei mesi: ma dopo un anno e mezzo, il viaggio di Lola e Ivana non è ancora finito. Intervistate a Coron, splendida località sull'isola di Palawan, sud-ovest delle Filippine, dove sono arrivate dopo aver attraversato l'Asia partendo da Mosca, ci raccontano cosa vuol dire viaggiare libere nel mondo, e perchè ognuno di noi dovrebbe fare lo stesso...perchè, in fondo, anche per girare il mondo ci vuole molto meno di quello che crediamo, economicamente e non solo.

Ciao, e grazie mille per aver dedicato un po' del vostro tempo a Rive d'Oceania.

Iniziamo dal posto dove vi trovate ora, Coron: com'è?

Ivana: Coron è meravigliosa. Ci sono 30°C tutto il giorno, anche in acqua. Immergersi qui è un'esperienza magica, stiamo prendendo il brevetto Dive Master, anche se più stancante di quello che si potrebbe pensare.


Barracuda Lake Coron
Immersione nel lago Barracuda, Coron, Filippine
East Tangat Coron
Immersione vicino all'East Tangat, relitto nei pressi di Coron


Non deve essere stato l'unico posto magnifico che avete potuto visitare nel vostro viaggio: qual è l'esperienza che più vi è rimasta impressa?

Sunday, October 5, 2014

Bandiera della Nuova Caledonia: storia e significato

Dal 2010 ufficiale assieme al tricolore francese, la bandiera della Nuova Caledonia è originariamente stata adottata come vessillo per il Fronte di Liberazione Socialista Kanak, movimento indipendentista che nel corso degli ultimi decenni ha portato la Nuova Caledonia ad acquisire maggior autonomia dall'autorità coloniale francese.

Bandiera della Nuova Caledonia
Bandiera della Nuova Caledonia
Il vessillo è composto di tre strisce verticali: blu come l'Oceano Pacifico, rosso come il sangue dei Kanak versato per la patria, verde come il territorio delle isole. Lo stemma a sinistra è giallo come il sole e include una "fleche faitiere" freccia che adorna le capanne dei Kanak, gli indigeni della Nuova Caledonia.

La Nuova Caledonia, a cui è imposto anche il tricolore della Francia come bandiera ufficiale, è uno dei pochi paesi al mondo con due bandiere ufficiali.

Articolo Principale sulla Nuova Caledonia


Bandiera di Fiji: storia e significato

Adottata il 10 ottobre del 1970, la Bandiera delle Isole Fiji si compone dell'Union Jack del Commonwealth in alto a sinistra, di uno sfondo azzurro e dello stemma risalente all'epoca coloniale.

Bandiera delle Isole Figi
Bandiera di Fiji


L'azzurro simboleggia, come in tutte le nazioni dell'Oceania, l'Oceano Pacifico.
L'Union Jack in alto a sinistra rappresenta l'appartenenza delle Isole Fiji al Commonwealth, con il quale il rapporto è comunque andato deteriorandosi a causa dei vari colpi di stato che hanno instaurato a Fiji dittature militari anti-democratiche negli ultimi decenni.
Lo stemma coloniale a destra di compone di un leone che stringe tra le zampe il frutto del cacao: nei quattro riquadri si trovano, partendo dal basso, una colomba, un casco di banane, una palma da cocco e delle piante di canna da zucchero, simboli rispettivamente della pace e della natura delle isole.

Articolo principale sulle Isole Fiji

Friday, October 3, 2014

Bandiera di Vanuatu: storia e significato

Adottata all'inizio del 1980 basandosi sui colori del partito socialista Vanua'Aku Pati, che portò le isole all'indipendenza, la bandiera di Vanuatu rappresenta l'ambiente, la cultura tradizionale indigena e la religione cristiana, tre elementi centrali nell'identità culturale dell'arcipelago.

Bandiera delle Isole Vanuatu
Bandiera delle Isole Vanuatu


Il verde rappresenta la fertilità delle isole e il forte legame della gente con la terra, mentre il rosso è simbolo dell'unità del paese attraverso il sangue, versato per l'unità del popolo Vanuatuano. Anche il nero rappresenta i Ni-Vanuatu, gli abitanti dell'arcipelago.
Il giallo ha due significati: imita la forma a "Y" che ha l'arcipelago delle Vanuatu ed anche la luce del Vangelo, rappresentante la religione maggioritaria del paese.

Lo stemma a sinistra si compone di due felci, dette namale, con 39 foglie come i membri del parlamento isolano: le felci sono circondate da una zanna di cinghiale selvatico, usata da alcuni villaggi indigeni per proteggere i genitali degli uomini e simbolo per eccellenza di fertilità.

Articolo principale sulle Isole Vanuatu


Bandiera delle Isole Salomone: storia e significato

Progettata da un artista neozelandese e adottata ufficialmente nel novembre 1977, un anno prima dell'indipendenza, la bandiera delle Isole Salomone consiste in una sottile linea gialla diagonale che divide il disegno in un settore in basso a destra, verde, e in uno in alto a sinistra, blu con 5 stelle bianche.

Bandiera delle Isole Salomone
Bandiera delle Isole Salomone
Il blu rappresenta il colore dell'Oceano Pacifico, con le 5 stelle che rappresentavano in origine le 5 province del paese, che oggi diventate 9. Per ovviare a questo cambiamento si tende ora a interpretare le stelle non come le province, ma come i 5 principali gruppi di isole che compongono l'Arcipelago delle Salomone.
Il giallo rappresenta l'alba e, infine, il verde simboleggia la fertilità della nazione e il colore tipico della foresta tropicale che ricopre la maggioranza del territorio.

Articolo principale sulle Isole Salomone


Wednesday, October 1, 2014

Bandiera della Papua Nuova Guinea: storia e significato

Ufficialmente adottata nel '71, 4 anni prima dell'indipendenza del paese, la bandiera della Papua Nuova Guinea è divisa da una diagonale in un settore in alto a destra, di sfondo rosso con un uccello del Paradiso rappresentato e in un settore in basso a sinistra di sfondo nero con 5 stelle bianche.
Fu disegnata dalla giovane artista Susan Karike, che all'epoca era appena adolescente.

Bandiera della Papua Nuova Guinea
Bandiera della Papua Nuova Guinea
I colori giallo, rosso e nero sono i più frequenti nelle culture indigene del paese, mentre le cinque stelle rappresentano, come anche nella bandiera australiana, la costellazione della Croce del Sud. L'uccello del Paradiso della specie Paradisaea Raggiana (kumul in lingua locale), oltre che rappresentare la libertà e l'indipendenza della Papua Nuova Guinea, è uno dei simboli più famosi della fauna dell'arcipelago e dei popoli locali, tanto che in alcune tribù dell'entroterra papuano le sue piume sono utilizzate come decorazioni per copricapi o costumi.

Articolo principale sulla Papua Nuova Guinea



Pillole d'Oceania, episodio 2: cosa sono Micronesia, Melanesia e Polinesia?

Letteralmente i loro nomi vogliono dire "Piccole Isole", "Isole dei Neri" e "Molte Isole".
Micronesia, Melanesia e Polinesia sono le 3 macroregioni nelle quali si divide l'Oceania.

Micronesia, Melanesia, Polinesia
Micronesia, Melanesia e Polinesia
A grandi linee, possiamo dire che la Micronesia consiste nella parte centro-occidentale dell'Oceano Pacifico, ovvero negli stati di Palau, Stati Federati di Micronesia, Isole Marshall, Kiribati, Nauru e l'arcipelago delle Isole Marianne, diviso politicamente tra le Marianne Settentrionali e Guam, entrambi territori statunitensi.

La Melanesia è invece l'area sud-occidentale del Pacifico, l'arco di isole più ampie, selvagge ed esposte alla forza della natura: nell'ordine, discendendo verso sud, incontriamo l'Isola di Nuova Guinea (metà est occupata dallo stato della Papua Nuova Guinea e metà ovest occupata dalla regione indonesiana dell'Irian Jaya), le Isole Salomone, le Isole Vanuatu, la Nuova Caledonia e le Isole Fiji.

Tutte le altre isole trattate in Rive d'Oceania sono dunque appartenenti alla Polinesia, che occupa all'incirca la metà orientale del Pacifico: gli stati di Samoa, Tonga e Tuvalu, i territori neozelandesi (Isole Cook, Isole Tokelau, Niue), i territori francesi (Wallis & Futuna, Polinesia Francese), l'isola di Pitcairn, sotto controllo britannico e l'Isola di Pasqua, cilena.

Talvolta la Nuova Zelanda è stata inclusa, soprattutto per la cultura Maori che la dominava, nella Polinesia, ma più spesso, soprattutto nel mondo anglosassone, si tende a considerarla parte di una quarta macroregione, la "Meganesia" (grandi isole), assieme all'Australia e all'Isola della Tasmania.

La divisione è da attribuirsi al navigatore francese Jules Dumont d'Urville, anche se ad un'analisi più approfondita emergono diverse sfaccettature.
Ad esempio, le "Piccole Isole", definizione data alla Micronesia, funzionerebbe benissimo anche per la Polinesia, e viceversa, le "Molte Isole" è una definizione perfetta anche se si parla della Micronesia: entrambe queste macroregioni sono infatti costituite da...tante, piccole isole.
Culturalmente, poi, solo la Polinesia è effettivamente compatta, mentre tra i popoli Melanesiani esistono grandi differenze genetiche e linguistiche (tali da rendere la Melanesia il luogo con la più alta densità linguistica e il più alto numero di lingue indigene al mondo).

Wednesday, September 17, 2014

Il Betel: la "sigaretta" che causa denti rosso Dracula

La tradizione del suo utilizzo è una parte integrante di decine e decine di culture, dal Subcontinente Indiano fino alle Isole della Melanesia, in Oceania. Famoso per le sue proprietà digestive e afrodisiache, ma soprattutto per le conseguenze del suo utilizzo, stiamo parlando del Betel. 

betel
Noci di Areca e foglie della pianta di Betel
DI COSA SI TRATTA?
Propriamente, per Betel si intende la Chavica Beile, una pianta dell'Asia Meridionale dalle foglie appuntite: queste foglie vengono preparate, a seconda della tradizione, assieme ai frutti delle noci di un'altra pianta, l'Areca Catechu, propriamente una palma. 
Molti popoli, soprattutto nella Melanesia, sono soliti arrotolare le foglie della pianta di betel attorno ai semi dell'Areca tritati, aggiungendo in alcuni casi anche tabacco o calce ricavato dalle conchiglie: ne deriva una sorta di sigaretta dagli ingredienti naturali, che in genere viene masticata e che si stima essere utilizzata regolarmente, nelle sue varie forme, da centinaia di milioni di persone tra l'Asia e l'Oceania.
betel 2
Semi tritati e calce all'interno delle foglie della Chavica Belie
C'è chi arriva a prepararsene una cinquantina al giorno, chi ne usufruisce solo a qualche festa popolare: il Betel è apprezzato non solo per tradizione, ma anche per le proprietà digestive, il sapore piccante e afrodisiaco e per la leggera ebbrezza che provoca. 

L'ALTRO LATO DEL BETEL
Ben Betel
Masticatore di Betel,
Papua Nuova Guinea
(FONTE)
Ma c'è un altro lato riguardo questa tradizione così diffusa.
A causa del kuni, una sostanza vegetale che si trova nei semi dell'Areca, la saliva viene tinta di un rosso forte che, nei masticatori di Betel, può permanere anche per tutta la vita dopo un costante utilizzo delle foglie.
Camminando per le vie dei villaggi della Papua Nuova Guinea, o per le città dell'India o della Malesia, può capitare di imbattersi in macchie rossastre, lasciate dai passanti: le foglie di Betel provocano infatti un'eccezionale salivazione, costringendo i masticatori di Betel a sputare continuamente per liberarsene. 

L'annerimento dei denti, poi, è un'altra conseguenza evidente, di cui in alcune culture del Sud-Est asiatico, però, non ci si preoccupa come accadrebbe nel mondo occidentale. 

Le ricerche hanno poi dimostrato che le sostanze ossigenanti presenti nella foglia di Betel, soprattutto se masticate ed aggiunte alla calce, favoriscono l'insorgere di tumori orali: essi sono la prima causa di morte a Taiwan, e l'85 % dei tumori orali, sempre a Taiwan, è riconducibile al Betel. In Papua Nuova Guinea, invece il 77 % dei tumori nasce in corrispondenza del sito dove i masticatori sono soliti mettere la foglia. In altre parole, il Betel sembra essere il corrispondente della sigaretta nei paesi occidentali: antistress che crea dipendenza e problemi di salute, ma paradossalmente, diffusissimo. 

LA FUNZIONE DEL BETEL 
Forse, questa sua popolarità si deve anche alle funzioni sociali e rituali che ricopre da millenni nelle società dove è preparato: in Melanesia, anche gli strumenti per tagliare le foglie e i semi di Areca sono intagliati con precisione e attenzione. Un detto dell'Isola di Buka, arcipelago delle Isole Salomone afferma inoltre che, per tranquillizare il mare, è sufficiente sputare del Betel masticato con la radice di pai'ukes, una pianta locale, sulla foglia di Betel, seppellendo il tutto, durante la bassa marea, a pochi metri dalla riva. 
In Indonesia, invece, il Betel può essere utilizzato come un regalo o come un cosmetico.

Monday, September 1, 2014

Pillole d'Oceania, episodio 1: Cos'è un atollo?

Cos'è un atollo?

Sicuramente molti di voi avranno sentito parlare degli atolli, magari di quelli delle Maldive, immaginandosi un paradiso tropicale che unisce il mare cristallino e le spiagge deserte ombreggiate dalle palme da cocco. E fin qui tutto ok, ma cos'è in effetti un atollo? Un'isola? Non precisamente. 

Gli atolli (da atolhu, nella lingua Dhivehi delle Maldive), comunissimi anche in Oceania (ci sono intere nazioni, come Kiribati e Tuvalu, interamente composte da arcipelaghi di atolli) sono raggruppamenti di piccole isole madreporiche, ovvero derivate dai coralli. Le isolette degli atolli, che potrebbero essere chiamate le "briciole" di un'isola maggiore adesso scomparsa, sono spesso lunghe e strette e circondano una laguna, dai bassi fondali e dalle acque calme, dove abbonda la biodiversità.

Fakaofo, Isole Tokelau.
Le isolette (scure) e la barriera corallina (grigia) circondano la laguna interna
Come ipotizzò Charles Darwin, gli atolli, questi gruppi di isole, non sono altro che il rimasuglio di antiche isole vulcaniche. Queste, sprofondate o erose col tempo, si riducono ora alla barriera corallina che delimita la laguna e in corrispondenza della quale il colore dell'acqua è di un azzurro, o di un turchese, che farebbe innamorare chiunque. Dalla barriera corallina, una struttura "viva", una "metropoli" dei mari per l'abbondanza di organismi, si sono poi sviluppate, come materiale di scarto, le isolette degli atolli.

Proprio per essere derivate da coralli ed organisimi simili ora morti, le isole sono poco fertili, e sebbene ricoperte di densa vegetazione, tale vegetazione si riduce a poche specie capaci di adattarsi al povero suolo, e l'agricoltura è molto limitata.

È sorprendente notare come le piccole isole che compongono gli atolli, che non sono altro che un ricordo delle fertili isole vulcaniche che un tempo sorgevano, siano tuttavia ancora capaci di offrire una vita straordinaria a centinaia di specie di pesci, uccelli e altri piccoli organismi. 

Funafuti 2
Un uomo in una canoa a bilanciere, nella laguna di Funafuti. In lontananza visibili le isole che circondano e delimitano l'atollo.

Thursday, July 17, 2014

I Record dell'Oceania

Benvenuti su Rive d'Oceania, il portale completo e originale sulle piccole isole dell'Oceano Pacifico!

Questa è una lista di alcuni dei record che l'Oceania, un continente spesso bistrattato negli atlanti e anche nell'informazione, può vantare (sarà sottoposta a vari aggiornamenti).

mariana trench

La fossa oceanica più profonda: la fossa delle Marianne (10 994 m)
Quasi 11 km sotto la superficie nel mare, dove la pressione è opprimente e la luce manca del tutto: ecco il Challenger Deep, punto più profondo della fossa delle Marianne.

Questa straordinaria creazione del processo geologico di subduzione (la placca del Pacifico sta letteralmente scivolando "sotto" la placca delle Filippine), un arco di 2500 km che accompagna il vicino arcipelago delle Marianne Settentrionali, è stata sfidata molte volte nella storia dall'uomo.
Qui si immersero il batiscafo sovietico Vitjaz nel 1957 (lo stesso anno del lancio dello Sputnik), il batiscafo americano Trieste nel 1960, il robot Nereus nel 2009 e, nel 2012, anche il famoso regista di Avatar James Cameron.
Sorprendentemente, nel fondo della fossa sono anche state trovate forme di vita piuttosto sviluppate, come gamberi, piccoli crostaci, sogliole e altri tipi di pesci quantomeno bizzarri come questi .

Il minor numero di abitanti
Se includiamo Australia, Papua Orientale, Nuova Zelanda e Hawaii, la popolazione del continente Oceania è di poco inferiore ai 38 milioni di abitanti, vale a dire meno della Spagna, che però occupa un'area 17 volte minore in fatto di superficie.
Se poi escludiamo i territori che non fanno parte di quelli trattati da Rive d'Oceania, che si occupa solo delle isole più piccole e poco conosciute, addirittura la popolazione scende a poco più che 8 milioni di persone (di cui più di 5 abitano nella sola Papua Nuova Guinea).

La più alta densità linguistica
ureparapara 1
Bambini di Ureparapara, Vanuatu.
La loro lingua, il Löyöp, è parlata
da non più di 250 persone
Il basso numero di abitanti non deve tuttavia significare povertà culturale, anzi...si stima che in Oceania siano parlati tra i 1200 e i 1300 idiomi. Solo una piccola parte di essi appartiene agli aborigeni d'Australia: la maggioranza, circa 820, appartiene alla Papua Nuova Guinea, un paese che da solo ospita il 12 % delle lingue del mondo.

Anche le Isole Vanuatu e le Isole Salomone possono vantare centinaia di lingue e dialetti diversi. Nel complesso, se dividiamo il numero di abitanti per le lingue, otteniamo che, in Oceania, c'è una lingua ogni 6500 persone...è come se in Italia ci fossero 9230 lingue e dialetti diversi!

TO BE CONTINUED...

Monday, July 14, 2014

A spasso per...L'Isola di Espiritu Santo, Vanuatu

Abbiamo girato il variegato atollo di Majuro e la selvaggia isola di Pohnpei, ed ora è finalmente il turno di un tour virtuale in una località della Melanesia.
Approdiamo allora a Espiritu Santo, un'isola a nord dell'arcipelago delle Vanuatu, poco turistica e poco abitata, ma che, dopo la lettura di questo articolo, avrete probabilmente voglia di visitare.

N.B: Come sempre, ribadisco che le fotografie, sebbene non protette da copyright, non sono di mia proprietà, e inoltre l'articolo non è basato su ciò che ho visto personalmente (non sono mai stato in Oceania) ma è una rielaborazione di tutti i racconti di viaggio di turisti e reporter, dei documentari e degli articoli di giornali e blog inerenti alle località che verranno trattate.
Il tutto vuole rappresentare i luoghi nel modo più veritiero e obiettivo possibile, senza pretese di completezza totale, ma con il semplice scopo di farne un ritratto adatto a chi cerca informazioni per necessità o per curiosità.
Buona lettura.

Tuesday, July 1, 2014

Esistono ancora i cannibali?

La verità nascosta dietro un quesito in apparenza così facile potrebbe essere piuttosto complessa.
Se ci riferiamo a episodi come il mostro di Milwaukee, o ai gesti di taluni sotto l'effetto di cocktail di droghe particolarmente pesanti, allora di certo il cannibalismo esiste ancora, sebbene legato a episodi rari o a persone mentalmente instabili.

Ma la domanda per cui probabilmente state leggendo questo articolo è un'altra: esiste, ancora, un popolo che pratichi coscientemente e regolarmente la pratica di mangiare carne umana?
Se avete pensato che l'antropofagia sia legata solo ai popoli selvaggi che i missionari incontravano nelle giungle delle colonie europee nel '600 e nel '700, se avete pensato che ora tutti quei popoli si siano "sviluppati" e state per rispondere "Allora no, questo tipo di cannibalismo ovviamente non esiste più" allora fermatevi. L'Oceania, la terra delle infinite isole, dei paradisi tropicali, delle stupende barriere coralline e delle tribù ancestrali, può stupirvi anche da questo punto di vista.

cannibalism map
Mappa del cannibalismo a fine '800


Quando le isole dell'Oceania, raggruppate nelle "macroregioni" della Micronesia (a ovest del Pacifico), della Melanesia (a sud-ovest) e della Polinesia (nel centro-sud del Pacifico) furono per la prima volta raggiunte dagli europei, il cannibalismo era praticato, o era stato praticato, quasi ovunque.

Nell'Isola di Pasqua, gli abitanti riferirono agli europei che i loro antenati erano stati fieri kai-tangata, "mangiatori di uomini". La carne umana era ambita anche nelle Isole Marchesi, parte dell'attuale Polinesia Francese, mentre alle Hawaai, come riferisce il capitano King nel 1779, James Cook fu ucciso e mangiato dagli indigeni, che portarono all'equipaggio di King stesso mezzo kilo della carne del suo famoso predecessore.
Il cannibalismo polinesiano, a quanto pare, era legato alle battaglie tra le varie tribù, al termine delle quali cibarsi dei prigionieri rappresentava, essenzialmente, la forza del villaggio vincitore.

In Melanesia, invece, la pratica era diffusa proprio ovunque, dalle Vanuatu alla Papua Nuova Guinea, passando per le Isole Salomone, (per non parlare dei famigerati cannibali delle Fiji) ed era legata, oltre che alle lotte tra villaggi, anche a riti religiosi animisti.

Con il passare del tempo, tuttavia, la diminuzione dei conflitti interni, l'azione insistente dei missionari e anche il proliferare di gravi malattie tra i popoli cannibali (come il Kuru, una malattia neurodegenerativa che è l'equivalente umano del morbo della mucca pazza) portarono all'abbandono dell'antropofagia...ma non ovunque.
A Vanuatu, l'ultima uccisione rituale a fine antropofago è datata 1969, e in date simili si crede che la pratica ebbe fine anche alle Salomone. In questi ultimi casi si trattò, comunque, di episodi isolati.

Nell'Isola della Nuova Guinea, tuttavia, divisa politicamente tra la provincia indonesiana dell'Irian Jaya (ovest) e lo stato indipendente della Papua Nuova Guinea (est), la pratica del cannibalismo è tutt'oggi viva. Accertata e documentata.

Siamo nella zona centro-occidentale dell'Isola della Nuova Guinea, in un'area di foresta così oscura e selvaggia che ancora lo sviluppo moderno e ciò che in genere lo segue, la deforestazione, non si sono fatti spazio. Qui, gli unici a comandare sono gli indigeni, e difficilmente si sente l'influenza di un'autorità nazionale centrale, sia essa l'Indonesia o la Papua Nuova Guinea.

Korowai people
L'area del popolo Korowai








Il territorio è abitato dal popolo Korowai, circa 3000 persone divise in piccoli clan che abitano su stupefacenti case sugli alberi. Qui, i primi missionari non sono nemmeno arrivati, mentre quelli olandesi degli anni '70 del secolo scorso, primi uomini bianchi a essere visti dagli indigeni, se ne andarono dopo poco, chiamando le terre dei Korowai "l'inferno del Sud".

Le poche informazioni di cui disponiamo riguardo loro sono dovute proprio all'attività dei missionari e a quella degli antropologi. Un reporter dello Smithsonian Institute, Paul Raffaele, trascorse alcuni giorni tra i Korowai nel 2006, con l'aiuto di un interprete indonesiano.
L'intero articolo, che sarà riassunto nel resto di questa pagina, descrive alcuni usi dei nativi, compreso il cannibalismo.

Korowai House
Casa sull'albero dei Korowai





A Raffaele, diversi Korowai confessarono, senza sensi di colpa, di aver mangiato la carne dei khakua. 
Chi sono, quindi, i khakua, le vittime del cannibalismo Korowai?
Per comprenderlo, è necessario immedesimarsi nella vita di questo popolo, legato al culto animista da una parte e spesso flagellato da malattie come la malaria e la tubercolosi.
Quando una persona del clan si ammala, generalmente, gli indigeni, che non conoscono le malattie e interpretano i malesseri come un influsso degli spiriti, credono che egli sia sotto l'attacco di un uomo malvagio che lo sta "divorando" dall'interno. Quest'uomo, detto khakua, si sta chiaramente macchiando di un gravissimo crimine.
In punto di morte, la persona malata di tubercolosi o malaria, convinta di essere sotto l'attacco di una sorta di stregone, sussurra a suo fratello o al suo migliore amico il nome del presunto khakua, di colui che lo sta uccidendo. Spesso, ovviamente, l'assassino indicato risulta essere il membro di un clan avversario, ma non sono stati rari i casi di fratelli o sorelle dei defunti accusati di essere stregoni.

La superstizione, ovviamente, è priva di qualsiasi valore scientifico, ma per i Korowai, l'espiazione del peccato del khakua è una parte integrante della giustizia tribale: individuato il khakua, i membri della famiglia del morto lo rapiscono e lo uccidono, divorandone la carne e conservandone il teschio. Per tutta la notte dopo l'uccisione, i cannibali sbattono le ossa del sospetto stregone sui tronchi degli alberi, per allontanare dalla famiglia gli altri possibili khakua.

Korowai photograph
Fotografia dei Korowai






La superstizione dei Korowai è legata alla cultura animista che ancora molte culture Neo-Guineane condividono. E anche se in Nuova Guinea la maggioranza della gente si dice cristiana, l'influsso degli antichi culti tribali, soprattutto nei villaggi dell'entroterra, è ancora molto forte.
A tal proposito, basti sapere che, fino al maggio del 2013, i tribunali della Papua Nuova Guinea applicavano sconti di pena a chi uccideva una persona, se tale vittima era legittimamente sospettata di atti di "magia nera".

Nel 2012, a Madang, nella zona della Nuova Guinea sotto lo stato indipendente del Papua, sono invece stati arrestati ben 29 uomini per atti omicidi e antropofagi. Interrogati dalla polizia, confessarono tranquillamente di aver ucciso e mangiato alcuni sospetti stregoni, a conferma della diffusione delle credenze animiste nelle aree più remote dell'isola.

Se volevate una risposta alla domanda da cui questo articolo è partito, allora sì: il cannibalismo, anche se molto meno diffuso di un tempo, anche se ripudiato da quasi tutte le tribù che un tempo lo praticavano, esiste ancora, nei luoghi più remoti delle foreste e delle montagne della Nuova Guinea.

Wednesday, June 18, 2014

Rabaul, la vita sotto (e dentro) un vulcano

A giudicare dalla foto tipica che un viaggiatore può scattare a Rabaul, si direbbe che questa piccola città della Nuova Britannia, un'isola della Papua Nuova Guinea, si trovi in un luogo paradisiaco che ha poco da invidiare ai Caraibi o alle altre isole dell'Oceania.

Rabaul Panorama
Rabaul: la vista sul vulcano Tavurvur e sul Pacifico











Fondamentalmente, sarebbe proprio così se, al di là della splendida Blanche Bay, della cornice dei monti vicini, della vegetazione e dei coralli, dimenticassimo che Rabaul si trova letteralmente all'interno di un cratere vulcanico.
Non immaginatevi una cittadina che galleggia sulla lava, perchè chi decise di edificare un villaggio qui non arrivò, ovvio, a questo livello di ambizione fantascientifica: ma sicuramente trascurò il fatto che il sito dove oggi sorge Rabaul si trovava dentro una caldera, vale a dire un'ampia depressione formata dallo sprofondamento di un vulcano dopo un'eruzione catastrofica.

L'enorme caldera di Rabaul si formò con due eruzioni, una attorno al 1500 a.C. e l'altra attorno al 600 d.C.: oggi, essa è in parte coperta dalle acque della Blanche Bay, ma nella zona ancora emersa, oltre ai resti della cittadina, si trovano ancora due vulcani attivi e pericolosi: Tavurvur e Vulcan, che nel 1994 liberarono tutta la loro forza, riducendo un vivace centro come Rabaul da una popolazione di 20 000 abitanti a non più dei 4000 attuali. Come è accaduto?

Ash on Rabaul - September '94
Rabaul ricoperta di cenere
Dal 1971, in questo luogo, si registrò un accrescimento dell'attività sismica e vulcanica che, con il tempo, aumentò fino a costituire un grave pericolo: il 18 settembre del 1994, i vulcanologi lanciarono un allarme di evacuazione destinato a riscrivere la storia della città.

La gente, infatti, già sensibilizzata ai rischi di una vita sotto (e dentro) un vulcano, abbandonò le proprie case, 19 ore prima che, dai vulcani Tavurvur e Vulcan milioni di metri cubi di cenere venissero scagliati verso il cielo, oscurando il sole e piombando a terra sotto forma di una pesante pioggia.
L'80 %  degli edifici cittadini crollò a causa del tremendo peso a cui essi furono sottoposti, annientando di fatto la città.

Rabaul eruption2
La nube vista
dall'interno dell'isola
L'allarme preventivo, tuttavia, salvò i 20mila abitanti dalla morte certa (schiacciati dagli edifici o per intossicazione), e i deceduti, ufficialmente 5, si possono davvero contare sulle dita di una mano.

Dopo l'eruzione, il capoluogo della provincia della Nuova Britannia orientale, prima Rabaul, venne spostato ad un'altra città, e qui, in questa città martoriata prima dalla colonizzazione, poi dalla guerra, e poi dai vulcani, la rinascita è stata molto lenta, anche perchè il Tavurvur continua a destare preoccupazioni: nel 2006, eruttò una nube di cenere alta 18 km che, fortunatamente, fu spazzata dai venti verso il Pacifico.

Tavurvur from Space Shuttle
La nube del Tavurvur (2006) vista dallo spazio
Ma a chi venne l'idea di fondare una città in questo luogo, e soprattutto, perchè?
La nascita di questo centro è dovuta ai tedeschi, che alla fine dell'800 governavano la Papua Nuova Guinea e fondarono Rabaul (un termine che significa "mangrovia" nella lingua Kanua, parlata dagli indigeni Tolai che vivono nel luogo) con il nome originale di Simpsonhafen.
Probabilmente, gli europei si concentrarono sul valore strategico di questo villaggio commerciale, trascurando il rischio vulcanico al quale il luogo era soggetto, ma già nel 1937, quando Rabaul era passata in mano australiana, lo spettro della catastrofe si paventò: durante un'eruzione, morirono 507 tra indigeni e coloni australiani, tanto che il centro rimase quasi del tutto disabitato fino alla conquista giapponese del '42. Negli anni della guerra, a Rabaul arrivarono più di 110mila soldati nipponici, e la base navale raggiunse dimensioni colossali.
Bombardata in due occasioni e lentamente ripresasi dopo il conflitto, Rabaul diventò un discreto centro turistico, fino a che gli inconvenienti dovuti alla sua posizione tornarono con violenza nella vita di tutti.

A quanto pare, l'importanza prima commerciale e poi militare di questo posto è sembrata sufficiente a giustificare la presenza di un popoloso centro che, ancora oggi, sopravvive coraggiosamente...sotto e dentro un vulcano.

Rabaul Corals
Coralli nella Blanche Bay, davanti Rabaul.
L'ambiente marino, che sta piano piano tornando ad attrarre turismo, si è ripreso ancora prima di quello umano