Thursday, February 26, 2015

Come salvare i paradisi del mondo dai cambiamenti climatici

Come si possono salvare le isole dell'Oceania dai cambiamenti climatici?
C'è troppo fatalismo e disfattismo per quanto riguarda le condizioni che avrà l'ambiente del nostro pianeta nel futuro, specialmente quando si parla delle isole del Sud Pacifico. Questi posti appaiono troppo poveri e piccoli per contrastare i mutamenti globali del clima e le conseguenze di essi, come l'innalzamento del livello del mare che minaccia di sommergerli in pochi decenni.

Dopo aver spiegato gli effetti dei mutamenti e i pericoli che affrontano le isole dell'Oceania nel primo articolo, è quindi necessario spiegare quali possono essere le possibili soluzioni a questa situazione: come si può ancora mitigare la crisi ambientale e salvare la fauna, la flora e le culture dei paradisi tropicali, affetti dalla siccità, dalla morte dei loro coralli e da un livello del mare sempre più alto?

Seawall
Bambini giocano vicino a una seawall, Isole Kiribati

1) Barriere contro il mare
Anche dette seawalls in inglese, servono per prevenire le inondazioni a cui i piccoli atolli sono soggetti durante l'alta marea. Numerosissime barriere di pietre sono state costruite, tra gli altri posti, a Tarawa, atollo-capitale delle Isole Kiribati.
Le seawalls, per quanto solide e ben concepite, non possono comunque essere sufficienti a opporsi alle alte maree, specialmente se esse vengono rafforzate dalle tempeste tropicali. Non sono inoltre utili a salvare le barriere coralline, il pesce che serve alla gente per nutrirsi, nè per garantire acqua potabile.

2) Piantare mangrovie lungo le coste
Le foreste di mangrovie, una specie di pianta comune negli ambienti costieri dei paesi tropicali, hanno un effetto benefico notevole per i territori dove esse crescono.
Esse provvedono innanzitutto un ambiente accogliente per la fauna marina, vale a dire per molluschi, pesci, crostacei e altri piccoli organismi che nelle ramificazioni subacquee di queste foreste vivono e si nutrono. Un nuovo habitat colonizzabile può aumentare il numero complessivo di pesci salvando diverse specie dall'estinzione e, se sfruttato adeguatamente, può anche diventare una risorsa a lungo termine per l'alimentazione degli isolani.
Le mangrovie limitano inoltre l'erosione delle isole a causa delle violente mareggiate e dell'innalzamento del livello dei mari, limitano le infiltrazioni di acqua salata nelle poche riserve potabili degli atolli e hanno inoltre l'effetto di "barriera" naturale nei confronti dell'Oceano. Dopo il violento terremoto di Sumatra nel 2004, e il conseguente disastroso tsunami, si è notato che le aree costiere con maggior presenza di mangrovie sono state protette e hanno subito meno danni rispetto alle aree urbanizzate o le aree dove le mangrovie erano state rimosse.

Mangroves
Nuova piantagione di mangrovie, Isole Tuvalu
3) "Coltivare" la sabbia per salvare le coste 
L'idea può sembrare assurda, fantascientifica o troppo complessa, ma in realtà è di una disarmante semplicità: se le isole soffrono il livello di un oceano il cui livello minaccia di sommergerle, avere più sabbia permetterebbe loro di essere, in certo senso, più "alte", e di salvarsi.

Questo significa prendere in considerazione l'essenza stessa delle isole: per fare un esempio, le Tuvalu, che in totale sono 9, sono costituite per due terzi da un particolare tipo di sabbia.
La sabbia era in origine un Foraminifera, cioè un microscopico organismo unicellulare parte della categoria dei protozoi, che produce piccole conchiglie stellate per questo dette "star sand". Quando il protozoo muore, la conchiglia diventa a tutti gli effetti sabbia. Diversi team di ricerca scientifica e ambientale si sono chiesti: e se si potessero coltivare lungo le coste i Foraminifera, in modo che una volta morti producessero quantità di sabbia sufficienti a contrastare i cambiamenti climatici?

Riproduzione asessuata di un Foraminifera
Un progetto in particolare, gestito dal programma del governo giapponese SATREPS, si è occupato di comprendere come sia possibile applicare alle Isole Tuvalu questa soluzione.

Se infatti, come abbiamo visto nel primo articolo, gli atolli sono capaci, nel lungo di termine, di produrre sufficiente sabbia per contrastare i cambiamenti climatici, è anche vero che la noncuranza dell'ambiente isolano, che si riscontra soprattutto in atolli sovrappopolati, provoca la diminuzione dei nuovi sedimenti, e quindi il maggior rischio per le isole dell'Oceania di sprofondare sotto il mare.

È ancora presto per dire se "coltivare" sabbia possa salvare i paradisi dell'Oceano Pacifico e le altre piccole isole tropicali del mondo, ma il SATREPS, che ha coordinato ricercatori del luogo e del Giappone, e il cui progetto quinquennale si è concluso nel 2014, ha ampliato la conoscenza della riproduzione dei Foraminifera, definito meglio i meccanismi che regolano la nascita e il trasporto della sabbia negli atolli e confermato che la diminuita produzione di essa si può attribuire anche allo sviluppo edilizio selvaggio e all'inadeguato smaltimento dei rifiuti delle isole.

La città galleggiante proposta per salvare gli abitanti delle Isole Kiribati


4) Costruire nazioni galleggianti
Decisamente più fantascientifica è l'ipotesi della Shimizu Corporation, azienda giapponese pioniere nell'ingegneria che ha proposto, a Kiribati, di sostituire le isole, se verranno rese inabitabili dall'oceano troppo alto, con delle città galleggianti. Queste sarebbero immuni a tsunami, terremoti e ovviamente all'innalzamento del livello del mare, ospiterebbero fino a 100 000 abitanti e includerebbero campi coltivabili. Costo: 317 miliardi di sterline = 437 miliardi di euro, ovvero qualche migliaio di volte il PIL totale delle Isole Kiribati.

Il che fa pensare che, se c'è qualcuno disposto a spendere tanto per costruire utopici mondi galleggianti, ci deve pur essere qualcuno disposto ad investire anche solo un centesimo di quella cifra per coltivare sabbia, mangrovie e continuare la ricerca, in modo da riparare i danni passati, presenti e futuri, alle isole del Sud Pacifico.

350Pacific, i giovani riscrivono il futuro delle loro nazioni
Tra le diverse iniziative che sono state prese per il futuro dei paradisi del Pacifico, c'è stato il viaggio dell'associazione giovanile 350Pacific, i cui membri di 13 nazioni dell'Oceania hanno costruito canoe tradizionali e sono arrivati in Australia, bloccando per un giorno il porto di Brisbane che commercializza il carbone, uno dei principali artefici del surriscaldamento globale.

"Non stiamo affondando - Stiamo lottando"
Motto di 350Pacific


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