Monday, June 6, 2016

Un gigante innocuo nei mari d'Italia: lo squalo elefante

Lo squalo elefante NON ha questo aspetto ;) (Fonte foto)
Solo di recente ho scoperto che non solo numerose specie di squali abitano i mari italiani, ma che di una di esse, lo squalo elefante, si sa molto poco: e siccome per lo spirito di uno scienziato-esploratore-divulgatore come me un argomento misterioso diventa subito un argomento interessante, ho deciso di documentarmi e parlarvi del magnifico (almeno per me) Cetorhinus Maximus.

Comincerò subito sfatando un pregiudizio sul cetorino: è uno squalo ma, sebbene la sua bocca abbia dimensioni sufficienti per ingoiarvi come un biscotto, è del tutto innocuo per gli uomini e anche per la grande maggioranza delle altre specie che condividono con lui le acque dei mari temperati, il suo habitat. Questo a dispetto delle dimensioni, che possono arrivare a 10 metri e ne fanno il secondo pesce del mondo dopo lo squalo balena (Rhincodon Typus).

Immersione con uno squalo elefante
Il nome "elefante" potrebbe suggerire fantasiose caratteristiche sul corpo di questo squalo: in realtà, il muso allungato dei piccoli squali elefante ricorda una proboscide, e da qui viene il nome comune della specie.

La sua enorme bocca ha solo la funzione di filtrare l'acqua che entra mentre l'animale nuota. A tal proposito, siccome l'atto del nuotare per la routine di uno squalo è drammaticamente ricorrente, l'acqua "passata in rassegna" può essere davvero moltissima: 9000 litri d'acqua filtrata all'ora!
Di quest'acqua vengono trattenute le molecole utili alla respirazione e soprattutto il plancton, l'insieme di organismi, vegetali e animali, che si lascia trascinare dalle correnti marine: quei piccoli esseri in apparenza insignificanti senza cui le catene alimentari degli oceani collasserebbero.

Molto interessante anche la riproduzione dello squalo elefante, durante la quale il maschio introduce fino a 50 litri di sperma (!!!) nel corpo della femmina, la quale rilascia in seguito 12 milioni di uova nel proprio utero. Di questi 12 milioni di potenziali squali, tuttavia, solo una minima parte verrà partorita: una volta schiuse le uova avviene il fenomeno dell'oofagia, per il quale i primi squali a uscire dalle loro uova inizieranno a cercare una fonte di nutrimento, trovandola nelle altre uova. Questo istintivo "cannibalismo", dopo tre anni di gestazione, permetterà la nascita di un numero compreso fra uno e quattro squali, che potranno iniziare a riprodursi dopo circa 12 anni, vivendo, se tutto va liscio, oltre 50.


Il mio "se tutto va liscio" è doveroso: come quasi tutti gli squali del mondo, anche questo è stato sottoposto a caccia insostenibile nel corso degli ultimi 100 anni. Tutto questo è dovuto, oltre che all'appetito degli islandesi per la sua carne fermentata (Hakarl), all'organo biologicamente più importante e interessante del Cetorhinus Maximus: l'immenso fegato, che funge da riserva di energia e, con il suo olio ricco di un composto tipico degli squali chiamato, guardacaso, squalene, facilita il movimento dell'animale. Ovviamente l'olio è pregiato e, da indispensabile prerequisito per la sopravvivenza, diventa una maledizione: soprattutto se, oltre alla pesca, i pericoli per gli squali vengono anche dalle reti in cui si impigliano accidentalmente. Questo, ad esempio, è già successo nelle acque del Tirreno o dell'Adriatico, due mari in cui è presente vista l'ampia disponibilità di plancton.

Vi sono ancora molte domande sulla biologia e l'etologia dello squalo elefante: perchè talvolta lo si veda "riposare" in superficie con il ventre verso l'alto, quali siano i numeri effettivi degli esemplari, se le popolazioni dell'Atlantico siano imparentate, o addirittura interagiscano, con quelle del Mediterraneo o dei mari temperati del Sud, e dove vada quando scompare dalle coste, alle quali si avvicina tra l'inverno e la primavera. Alcuni scienziati hanno ipotizzato che nei mesi freddi il cetorino si "iberni" sul fondo del mare, mentre le appendici branchiali ricrescono preparandosi alla nuova stagione e il metabolismo viene svolto sfruttando la riserva d'olio del fegato.

Come per molti altre specie, anche per lo squalo elefante il viaggio (metaforicamente parlando) che dovremo intraprendere per conoscerlo meglio e per proteggerlo meglio è ancora lungo.

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