Tuesday, May 31, 2016

Wake, dove paradiso e inferno si intrecciano (ma l'inferno vince...)

Così piccolo, eppure così grande: Wake, come buona parte degli atolli del mondo, si può esplorare tutto in poche decine di minuti, e la sua siderale distanza dalle altre isole e continenti non può che amplificare il senso di "nulla" che si prova camminando in questo granello di sabbia bianca desolato, come se anche le più umili piante declinassero gentilmente l'invito a crescere qui.

Ma nella storia moderna dell'uomo, questo posto si è ritagliato un ruolo onorevole considerate le sue dimensioni: e quindi, a suo modo, Wake è anche grande. Come non definire grande un luogo che include in sè, infatti, sia il paradiso che l'inferno? II paradiso, quello delle acque cristalline e del primordiale e immacolato silenzio che si può godere nelle sue spiagge soleggiate, e l'inferno, quello dove le stesse acque diventano rosso come il sangue dei soldati e il silenzio viene bombardato dai suoni di una guerra che proprio qui conobbe una delle battaglie più violente, e degne di essere raccontate, del secolo scorso.

Benvenuti a Wake insomma, che vi piaccia o no essere qui.

Paesaggio di Wake (Fonte)
Wake iniziò a essere preso in considerazione dagli esseri umani solo quando negli anni '40 la guerra in corso in Europa allungò gli artigli verso il resto della Terra, preparandosi a diventare mondiale. Questo avamposto, americano dal 1898 ma spesso neanche indicato nelle carte di navigazione, poteva rappresentare, in quel contesto, uno snodo strategico nel mezzo del Pacifico, ma con le dovute trasformazioni.

Così, nel '41, un contingente di 449 marines probabilmente non molto entusiasti della collocazione sbarcò e si mise all'opera agli ordini del maggiore Devereux, costruendo piste di atterraggio, hangar, depositi di cibo, munizioni e carburante; scavando trincee e gallerie sotterranee; collocando cannoni e mitragliatrici pesanti a difesa dei punti cardine delle tre isolette che costituiscono l'atollo, peraltro difficile da raggiungere via nave a causa delle scogliere.

Cannone arrugginito sulla spiaggia (Fonte)




                                    Wake: nè donne nè birra - niente di niente.

Si diceva questo, non a torto, del piccolo e ben difeso atollo del Pacifico centrale, quando ancora nulla era accaduto, e nulla si pensava dovesse accadere.
Poi, la mattina dell'8 dicembre 1941 (alle Hawaii, al di là della linea del cambiamento di data, era ancora il 7), a Wake giunse la notizia che i giapponesi (i giappi) avevano attaccato a sorpresa la base USA di Pearl Harbor, dichiarando di fatto guerra all'America. Poco prima delle 12 di quello stesso giorno, gli aerei giapponesi attaccarono  a sorpresa anche questo atollo, uccidendo decine di militari e personale civile e distruggendo 8 dei 12 aerei disponibili per la difesa.

Nei giorni successivi, con le risorse agli sgoccioli e isolati in questa galera nel mezzo dell'oceano, gli americani avrebbero dato comunque filo da torcere ai giapponesi grazie a piloti come Hank Elrod, che si batterono in volo con quindici volte meno aerei che non gli invasori asiatici: coraggio che da solo non fermò tuttavia le bombe che martoriarono Wake, al punto che i giapponesi, dopo il loro passaggio, stimarono non vi fossero superstiti.

Wake dopo i bombardamenti
Questo anche perchè a dirigere le operazioni era il contrammiraglio Kajioka, che aveva l'ambizione di essere il primo giapponese a sbarcare su suolo americano da vincitore: affrettandosi per non perdere questo possibile primato, 4 giorni dopo Pearl Harbor organizzò un piano di invasione che, da passerella, divenne carneficina.

Gli americani spuntarono come formiche da un formicaio, perchè i superstiti c'erano eccome, e con pochi cannoni e aerei riuscirono ad affondare 2 navi, danneggiandone 3 di cui una era l'ammiraglia e abbattendo 5 aerei: dovettero poi anche ringraziare il mare in burrasca, che impedì lo sbarco di 700 giapponesi, soldati almeno altrettanto determinati degli statunitensi, considerata la loro religiosa devozione all'Impero del Sol Levante.

La grave figuraccia nipponica, la seconda di fila in questo minuscolo atollo, non fu difatti sufficiente: 2 portaerei, 2 incrociatori, 2 cacciatorpedinieri e 118 aerei furono spediti il 16 dicembre a piegare l'orgoglio a stelle e strisce, che nel granello di sabbia di Wake fu lasciato solo, dato che la spedizione americana di soccorso per l'atollo fu richiamata indietro e non raggiunse mai i soldati che doveva aiutare.

Bunker di comando giapponese (Fonte)







L'atto finale della battaglia di Wake si verificò nella notte tra il 22 e il 23 dicembre: migliaia di giapponesi sbarcarono e avanzarono come spettri verso le posizioni americane, dalle quali le mitragliatrici falciarono migliaia di soldati asiatici. L'intento nipponico era di assediare con un numero di soldati così elevato il minuscolo atollo da rendere impossibile al nemico di riuscire a salvarsi ancora, anche se ovviamente ad un costo esorbitante in termini di vite. E così fu, perchè la mattina dopo i Marines, decimati, stremati e impossibilitati a comunicare con l'esterno e anche tra le diverse postazioni dell'atollo, si dovettero arrendere.

Il paradiso tropicale di Wake continuò comunque ad essere inferno per tutti: sia per i vincenti che per i perdenti. E non solo perchè erano stati giudicati "sacrificabili" dalle rispettive patrie, perchè troppo costoso salvarli (caso americano) o perchè necessario conquistare al più presto l'isola a qualsiasi prezzo (caso giapponese): ma anche per la vita che li attendeva i successivi 4 anni in quello sperduto avamposto. I marines e i civili americani furono rinchiusi in un campo di prigionia militare, mentre i giapponesi, che mai trovarono in Wake un vero vantaggio strategico, morirono a centinaia (1288 per la precisione) a causa di fame e malattie non curate.
Il 4 settembre del '45, poi, l'isola fu riconsegnata agli Stati Uniti. Senza che l'Impero del Sol Levante sparasse un solo colpo.

Wake dall'alto

E così, l'atollo di Wake non è forse, in fin dei conti, così grande da contenere sia paradiso che inferno: forse chi ci passò la vita (e chi la perse) in quei concitati anni ci direbbero che contiene solo un assaggio di inferno, e poco altro...al massimo, il paradiso che c'è in Wake si concede a tutti quegli animali che vivono in quello che nel 2009 è stato dichiarato Monumento Nazionale Americano, proprio per la fauna, specialmente subacquea, del luogo.

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