Cominciamo con il capire che paesi siano, effettivamente, Kiribati, Tuvalu e Tokelau.
Composti da arcipelaghi di minuscoli atolli (31 atolli per le Kiribati, 9 per le Tuvalu e appena 3 per le Tokelau), queste piccole nazioni non godono né di particolare ricchezza né di grosse prospettive di sviluppo futuro. In questo non c'è nulla di strano: abituati a vivere in stretto legame con la natura e senza la foga di sviluppo e crescita che ossessiona il resto del mondo, le comunità isolane hanno visto passare i decenni, i secoli e forse anche i millenni dalle sponde del Pacifico, coccolati dalla brezza dell'oceano e preoccupati solo di pescare per garantirsi un pasto serale.
La modernità, imposta dai colonizzatori, ha poi iniziato a cambiare alcuni aspetti della vita in questi paesi: l'introduzione dell'alcool, delle comodità, e soprattutto dei mass-media hanno compromesso il totale isolamento culturale di cui queste oasi avevano goduto.
Non tutto è stato comunque rivoluzionato, perché la cultura di questi luoghi non è certo persa né destinata a morire, ma certo nemmeno tutto è rimasto come prima. Ed una delle cose che potrebbero essere destinate a cambiare è l'ambiente stesso su cui I-Kiribati, Tuvaluani e Tokelauani hanno sempre vissuto: minacciati dall'innalzamento del livello del mare, gli atolli soffrono di gravi problemi ambientali. Sembra paradossale che l'Oceano Pacifico, che ha nutrito queste isole e ha rappresentato il centro della vita dei loro abitanti per millenni sia ora il motivo principale per cui, in Nuova Zelanda, si stanno riversano migliaia e migliaia di immigrati da questi tre piccoli paesi, alla ricerca di opportunità altrimenti introvabili e di una vita lontano dai pericoli di alte maree capaci di spazzare via interi villaggi.
Tuvalu: dove l'unico crimine è andare in bici senza fanale
Vista di un'isoletta corallina in uno degli atolli delle Tuvalu |
Katalina Kofe, Tuvaluana in Nuova Zelanda, risponde così a una domanda riguardo i motivi del suo trasferimento dal piccolo arcipelago di isole alla nazione "della lunga nuvola bianca".
"La maggior parte della gente a casa è al corrente del problema. Sanno che il livello delle acque si sta alzando. Per molti è solo questione di conoscere persone in Nuova Zelanda da cui venire.
Noi amiamo le nostre isole: sono triste di abbandonare Tuvalu e venire qui. Ma al momento dobbiamo farlo per la nostra sicurezza e quella dei nostri figli."
In fuga dal crescente livello di un oceano che minaccia le risorse d'acqua e le stesse abitazioni, i Tuvaluani in Nuova Zelanda sono oltre 5000, rispetto a circa 12 000 rimasti in patria.
L'80 % di loro, come succedeva per Niueani e Tongani, vive a Auckland, la "Capitale del Pacifico".
Katalina Kofe ha riassunto la buona maggioranza dei motivi per cui i Tuvaluani fuggono dalla loro terra natia: l'insicurezza ambientale delle isole fa sì che, appena trovato un contatto in Nuova Zelanda, le famiglie decidano di spostarsi. Certo, anche la volontà di trovare più opportunità è rilevante: ad esempio, la percentuale di Tuvaluani in NZ che consegue un'educazione superiore è doppia rispetto a quella dei Tuvaluani che non sono emigrati. Il college, ad esempio, è un sogno per molti Tuvaluani, anche se non tutti sono disposti ad abbandonare il proprio villaggio, dove ogni Polinesiano, emigrato o no, manterrà sempre e comunque le proprie radici.
Vestiti artigianali (kolose) provenienti dall'atollo di Niutao Mostra allestita a Auckland, Nuova Zelanda |
Più interessante riguardo le comunità Tuvaluane è lo shock culturale a cui sono sottoposti i loro membri. Le Tuvalu sono difatti una nazione alquanto deregolamentata dove, come dice un emigrato, "l'unico crimine è andare in bici di notte senza un fanale". La società Tuvaluana, come molte altre società del Pacifico d'altronde, non ha nemmeno dovuto soffermarsi su crimini come l'omicidio, che sembrano assenti, talmente tanto assurdi essi sembrano.
Orientarsi in mezzo alla selva di regole di un paese occidentale è parecchio difficile: e ne da testimonianza Suamalie Iosefa, reverendo di una chiesa protestante, figura che i Tuvaluani, per il 97 % affiliati al Cristianesimo, ascoltano parecchio. Iosefa si riferisce alle problematiche riguardo l'adattamento regole della strada occidentali, inesistenti a Tuvalu:
"E poi la gente dice che Dio se lo è preso con sè. No, Dio non è sciocco. Sei tu quello sciocco: tu che non conosci le regole e che sei stato investito dalla macchina lungo la strada!"
Aspetto ancora più difficile è il confronto dei Tuvaluani con una presenza che, nelle loro isole, era molto meno determinante: il denaro.
"Qui non puoi sopravvivere senza lavoro. Se non hai soldi muori. A Tuvalu invece puoi contare sulla pesca, sui tuoi vicini, sull'albero del cocco."
Dice Mila, emigrata con la sorella. Taniela dice lo stesso:
"Quando ero giovane mi fu detto che ci sono due cose che devi imparare a fare se vuoi vivere a Tuvalu: arrampicarti sulle palme da cocco e pescare. Se sai fare queste due cose, vivrai. Ma in Nuova Zelanda no, devi avere sempre un guadagno. Si tratta di un posto difficile: ogni cosa che fai ti richiede denaro."
Questo porta a riflessioni abbastanza importanti circa il ruolo del denaro nella vita di tutti noi: mentre a Tuvalu ci si può basare esclusivamente sui prodotti della natura e sulla condivisione tra i membri del villaggio, nei nostri paesi chi è senza denaro si ritrova costretto a mendicare o a morire di fame.
Orientarsi in mezzo alla selva di regole di un paese occidentale è parecchio difficile: e ne da testimonianza Suamalie Iosefa, reverendo di una chiesa protestante, figura che i Tuvaluani, per il 97 % affiliati al Cristianesimo, ascoltano parecchio. Iosefa si riferisce alle problematiche riguardo l'adattamento regole della strada occidentali, inesistenti a Tuvalu:
"E poi la gente dice che Dio se lo è preso con sè. No, Dio non è sciocco. Sei tu quello sciocco: tu che non conosci le regole e che sei stato investito dalla macchina lungo la strada!"
Aspetto ancora più difficile è il confronto dei Tuvaluani con una presenza che, nelle loro isole, era molto meno determinante: il denaro.
"Qui non puoi sopravvivere senza lavoro. Se non hai soldi muori. A Tuvalu invece puoi contare sulla pesca, sui tuoi vicini, sull'albero del cocco."
Dice Mila, emigrata con la sorella. Taniela dice lo stesso:
"Quando ero giovane mi fu detto che ci sono due cose che devi imparare a fare se vuoi vivere a Tuvalu: arrampicarti sulle palme da cocco e pescare. Se sai fare queste due cose, vivrai. Ma in Nuova Zelanda no, devi avere sempre un guadagno. Si tratta di un posto difficile: ogni cosa che fai ti richiede denaro."
Questo porta a riflessioni abbastanza importanti circa il ruolo del denaro nella vita di tutti noi: mentre a Tuvalu ci si può basare esclusivamente sui prodotti della natura e sulla condivisione tra i membri del villaggio, nei nostri paesi chi è senza denaro si ritrova costretto a mendicare o a morire di fame.
Dei 3 paesi che abbiamo citato, le Tokelau sono l'unico a non essere uno stato indipendente: sono infatti un territorio autonomo della Nuova Zelanda, cosa che ha favorito ancor di più i processi migratori.
A differenza delle altre comunità Polinesiane, che hanno letteralmente invaso la periferia sud di Auckland a partire dagli anni '80 in poi, la gente delle Tokelau vive in maggioranza nella Valle di Hutt, vicino alla capitale Wellington. In totale, gli emigrati o i figli degli emigrati in Nuova Zelanda sono circa 6300, a fronte di appena 1450 che sono rimasti a vivere a Tokelau.
Danzatori Tokelauani a un festival neozelandese |
La tendenza a creare famiglie allargate e a tenere stretti legami tra i membri al loro interno, (il matua, l'anziano, è in particolare la figura più rispettata), è uno dei tratti tipici delle culture Polinesiane, ma che a Tokelau, e quindi anche tra gli emigrati delle Tokelau, sembra farsi ancora più marcato.
Le grandi famiglie di Tokelau sono solite vivere nelle marae, le case tipiche della Polinesia, costituite da una grande stanza unica e al massimo un bagno e un ripostiglio: questo favorisce l'unità della famiglia (maopoopo), la socialità dei bambini e il reciproco aiuto, ma rende difficile anche ricavarsi una propria privacy e riduce ovviamente gli spazi disponibili per ogni membro.
Una serie di interviste da alcune inchieste neozelandesi sull'argomento mette in luce questo aspetto della vita degli immigrati:
"Ricordo che era una casa con solo tre camere da letto: io, mia madre, mia sorella e mia nonna in una stanza [...] La casa era sempre piena: era come un treno, tutti continuavano a entrare e a uscire, ma era una bella cosa. In effetti mi piaceva, quella casa sempre piena e avere la famiglia lì tutto il tempo."
Anche per chi cresce in Nuova Zelanda, come la ragazza che qui sopra parlava dell'affollamento della propria casa, lo stile di vita Tokelauano sembra avere un'influenza maggiore di quello moderno occidentale.
"(Tra lo stile delle Tokelau e quello Neozelandese) Sceglierei quello delle Tokelau: hai più rispetto per te stesso e per gli altri."
Anni '70: raduno della comunità di Tokelau Porirua, Valle di Hutt |
I giovani, nonostante le inestirpabili radici Tokelauane, sperimentano comunque la vita tra due mondi diversi, assumendo anche atteggiamenti e stili neozelandesi, mentre l'adattamento al nuovo paese è invece difficilissimo per gli anziani, troppo abituati alla loro realtà isolana e alla mentalità Polinesiana.
Raramente, però, questo diventa una vergogna per i loro nipoti, che anzi sono fieri delle loro discendenze: e anche se non tutti sanno parlare la lingua Tokelauana, ricordano esperienze in maggioranza positive riguardo i loro nonni, come le cure casalinghe:
"L'unica volta che mi ammalai nel periodo in cui vivevo con i miei nonni fu a circa 4 o 5 anni: era una specie di febbre, e tutto il resto. Ma invece che portarmi dal dottore, mio nonno mi fece un massaggio completo, e credeva anche che miele e limone avessero effetti miracolosi.
Poi, tornai a vivere a casa con i miei genitori, e iniziai ad ammalarmi continuamente."
Proprio agli anziani, come in tutte le società antiche, è affidato il compito di tramandare le tradizioni, le leggende, e le attività creative. Nella comunità Tokelauana sono particolarmente importanti le produzioni di ventagli (ili), collane di fiori (lei) e la scrittura delle canzoni (fatele).
Qui sotto, le foto del progetto "Te Vaka", (la canoa), nel quale la comunità di emigrati ha costruito una delle canoe tradizionali, usando il metodo storico sviluppato dai loro antenati. Anche una delle band neozelandesi di stile Polinesiano più famose si chiama Te Vaka. Composta da numerosi membri discendenti da immigrati, scrive in Tokelauano la maggior parte delle sue canzoni, ascoltabili QUI.
Un buon segnale di vitalità per la cultura delle Tokelau e per la sua comunità all'estero.
Kiribati, dove i cambiamenti sono come schiaffi
Gli abitanti di Kiribati, che si dicono I-Kiribati (da pronunciare I-Kiribas), sono in patria più di 100mila, ma solo 3000 di loro vivono attualmente in Nuova Zelanda.
Gli I-Kiribas, nonostante le loro isole soffrano degli stessi problemi ambientali e occupazionali di Tuvalu e Tokelau, sono sensibilmente meno pronti all'emigrazione rispetto agli altri due popoli, e sono anche l'unico popolo non Polinesiano citato in questa serie di articoli (Kiribati appartiene alla Micronesia.)
Ai soliti problemi di adattamento delle comunità dei migranti si aggiungono quelli riguardo la lingua inglese: necessaria a integrarsi in Nuova Zelanda, è già parlata sia a Tokelau che, in misura minore, a Tuvalu. Ma a Kiribati, come conferma un emigrato intervistato, il suo uso è addirittura motivo di discriminazione:
"Quando parli in inglese la gente I-Kiribati dirà "Kafa-ni Matang". Matang vuol dire pakeha, ovvero uomo bianco, e kafa-ni significa "vuoi essere". Quindi, quando parli inglese [...], rimani solo: è molto difficile."
Poi, ovviamente, altre caratteristiche che abbiamo già visto per le Tuvalu e le Tokelau sono il grande divario tra gli stili di vita che i "pesci fuor d'acqua" emigrati devono affrontare, e il sovraffollamento delle abitazioni.
"A Kiribati, l'atmosfera è molto rilassante, e le persone possono passare ore solo chiacchierando senza preoccuparsi delle loro bollette o degli affitti."
(Taberranang Kourauaba, studente I-Kiribati in Nuova Zelanda)
"C'è un sospetto, una sorta di pregiudizio (sulla gente della Polinesia, ndt) appena vedi un volto di colore mulatto. E per le comunità della gente del Pacifico c'è questo pregiudizio per cui appena affitti loro una casa ci troverai venti persone dentro." (Anonimo intervistato sull'argomento)
Perché dunque il titolo "i cambiamenti sono come schiaffi"? Ovviamente, passare da Kiribati alla Nuova Zelanda in queste condizioni, senza nemmeno conoscere la lingua, non può risultare che uno schiaffo tremendo al proprio stile di vita e alle proprie certezze.
Ma uno schiaffo ancora più forte può essere quello a cui sono stati sottoposti tutti gli abitanti di Kiribati, emigrati e non, abituati a considerare scontate le loro isole e a preoccuparsi ben poco del loro ambiente. I problemi ambientali emersi negli ultimi trent'anni hanno scosso le certezze di un intero popolo, che oggi, attraverso il suo governo, ha comprato 20 km quadrati di terra a Vanua Levu, Fiji, per potersi spostare se nel futuro il cambiamento climatico rendesse inabitabili le isole natie.
Emblematico il caso di un uomo I-Kiribati, A.F., che si è appellato a un tribunale Neozelandese per ottenere asilo politico:
"Non c'è nessun futuro per noi quando torniamo a Kiribati. Soprattutto per i miei bambini. Non c'è niente per noi lì."
Nella speranza di una migliore qualità di vita futura, per gli emigrati come anche per chi rimane a Kiribati, vediamo alcune immagini del Meeting della loro comunità avvenuto a Marlbourough, NZ, nel 2011.
TO BE CONTINUED...
Nei prossimi articoli:
Episodio 3: Niue, Tonga e Samoa - I "pesci fuor d'acqua" in prima fila
Episodio 4: Pasifika, Polyfest e altri festival - L'identità di un mondo che non vuole morire
LINK al primo articolo
Stay tuned!
No comments:
Post a Comment
Che ne pensi? Lascia un commento! PLEASE DON'T POST SPAM.