Il mondo appena citato è quello dei Bajau, un popolo di nomadi del mare che chiama "casa" una delle aree di oceano più spettacolari del Pianeta Terra, il Triangolo dei Coralli.
Bambini in acqua vicino ad una casa Bajau (Fonte) |
Da dove vennero i nomadi del mare
Non sono chiare le origini di questo popolo Austronesiano, oggi diffuso in maggioranza lungo le coste di Malesia (Regione di Sabah), Sultanato del Brunei, Indonesia (Isole del Borneo e di Sulawesi), Filippine (Isole Palawan e Mindanao).
Alcuni Bajau, a tal proposito, raccontano di essere stati un tempo sudditi di un ricco re che incaricò loro di salpare verso l'oceano per cercare sua figlia, rapita da alcuni pirati. Non riuscendo nella missione di ritrovare la principessa, essi rimasero a vivere, per vergogna, in mare.
Recenti studi collocano la loro terra d'origine nell'arcipelago Filippino, ma numerosi resoconti dell'epoca coloniale indicano che fino allo stretto di Malacca, oltre 2000 km verso sud-ovest, si trovavano pirati e commercianti di schiavi le cui caratteristiche erano compatibili con quelle dei nomadi del mare Bajau di oggi. Questo sembra provare altri studi che collocano l'origine dei Bajau nelle Isole Riau, tra Sumatra e la Malesia, vicino a Singapore.
Queste contraddizioni non rendono solo difficile attribuire loro un'origine chiara, ma mettono anche dubbi circa la loro storia dalle origini ad oggi: sono sempre stati un popolo pacifico o alcuni hanno approfittato delle loro abilità per attività di pirateria e commercio di esseri umani? La mancanza di resoconti scritti e di una nazione con cui identificarli, visto il loro nomadismo, rende difficile ricostruire il puzzle.
Bambino Bajau gioca con uno squalo (Fonte: James Morgan) |
Una vita trascorsa nell'oceano
Oggi, i Bajau, il cui nome può voler dire "pescare" o "coloro che stanno lontani" a seconda delle lingue dell'arcipelago malese che li identificano, non vivono tutti in mare. Alcuni si sono trasferiti a terra (sempre di più in realtà lo fanno) mentre altri continuano a rimanere legati all'elemento che li ha sempre identificati, vivendo in palafitte o barche che approdano a riva solo raramente. Nelle solide barche in cui gli occupanti si abituano così tanto al dondolio delle onde da sentire il mal di terra quando mettono piede a riva, c'è tutto quanto è richiesto per sopravvivere da una famiglia di 4 o più componenti, fatta eccezione per la benzina nei casi delle imbarcazioni più moderne.
Per vivere a stretto contatto con l'oceano, i Bajau ancora nomadi si sostengono ovviamente sulla pesca e su pochi prodotti acquistati a terra, sul commercio di cetrioli di mare (parenti delle stelle e dei ricci di mare), perle e oggetti ricamati, e spesso anche sulla carità, risultando per essere considerati accattoni e, di conseguenza, finendo ancora più esclusi e disprezzati dalle società della terraferma.
"Casa-barca" (Fonte: James Morgan) |
Spesso, infatti, i bambini si rompono i timpani, con conseguente copioso sanguinamento e sensazione di nausea prolungata, che al suo passaggio dopo alcuni giorni permette tuttavia di immergersi anche a importanti profondità senza dolore, per il resto della propria vita. Al costo, inevitabile, di problemi d'udito per cui gli anziani Bajau sono tristemente noti.
Adattamenti meno costosi sono quelli, stavolta sviluppati involontariamente e solo con abitudini consolidate, grazie a cui i Bajau sono talvolta capaci di vedere meglio sott'acqua che non fuori, raggiungendo inoltre durante le immersioni qualcosa come 5 minuti di apnea.
Paradossalmente, la sepoltura dei morti avviene a terra.
Villaggio di palafitte (Fonte) |
Un futuro incerto come il loro oceano
Privi di una vera nazione in cui riconoscersi e da cui essere accettati, i Bajau sono soggetti a due problemi principali: uno sociale e l'altro ambientale, non di rado connessi tra loro.
Questo popolo, per la povertà e la semplicità estrema dei suoi modi di vivere, è infatti vittima del razzismo della comunità stanziali, specialmente nelle Filippine.
I governi di Malesia, Indonesia e Filippine hanno inoltre imposto a volte programmi di sedentarizzazione forzata, simili a quelli che, con esiti disastrosi, hanno applicato i governi europei e canadesi ai popoli eschimesi dell'Artico.
La povertà, oltre a risultare in un fattore di discriminazione, ha portato alcuni Bajau nomadi ad unirsi ai pirati attivi nei mari dell'Indonesia: pirati che, peraltro, spesso prendono di mira i Bajau stessi.
La salute dell'ambiente marino, inoltre, rappresenta il principale fattore discriminante per una vita così legata alla natura: l'overfishing delle grandi navi e anche una scriteriata pesca con l'uso di bombe al cianuro buttate sulle barriere coralline, spesso a opera dei Bajau stessi, mettono in grave difficoltà le risorse del Triangolo dei Coralli.
Uomo cattura un polpo (Fonte: James Morgan) |
L'interesse di organizzazioni a difesa dell'ambiente come il WWF, e, forse, l'interesse dei governi della zona nel preservare una cultura così unica come questa, potranno fare la differenza fra un mondo in cui le acque turchesi del Borneo e di Mindanao saranno ancora solcate dalle barche degli amichevoli Bajau, e un mondo in cui, progressivamente, la cultura Bajau scomparirà, dapprima cacciata da un mare privato delle sue risorse e, infine, sedentarizzata e dimenticata in mezzo ai popoli di terra: quelli a cui, in fondo, nessun Bajau ha mai voluto appartenere.
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